L'ultima equazione by Mark Alpert

L'ultima equazione by Mark Alpert

autore:Mark Alpert
La lingua: ita
Format: mobi
editore: Casa Editrice Nord
pubblicato: 2011-02-22T23:00:00+00:00


8

Era buio pesto quando arrivarono al Carnegie’s Retreat, ma nel chiarore dei fari David vide abbastanza per intuire che Andrew Carnegie non avrebbe mai trascorso nemmeno una notte laggiù. Si trattava praticamente di una baracca, un casotto di un piano costruito con traverse ferroviarie in una piccola radura tra i boschi. I rami caduti disseminavano il cortile anteriore e un tappeto irregolare di foglie bagnate copriva la veranda. La Carnegie Mellon aveva lasciato che l’edificio andasse in rovina. Era chiaro che nessun membro del corpo accademico era stato là come minimo dall’estate precedente.

David aprì la portiera del passeggero e aiutò il professore a smontare. Il vecchio si era ripreso dall’attacco di panico, ma gli tremavano ancora le gambe. David dovette sostenerlo per il gomito mentre camminavano tra i rami secchi. Scesero anche Monique e Michael, lasciando accesi gli anabbaglianti per illuminare la zona.

Raggiunsero la porta e lo scienziato indicò una fioriera che conteneva solo terriccio. «La chiave è sotto quel vaso.»

Quando David si chinò per recuperarla, udì un boato distante e attutito che riecheggiò tra le colline. Si raddrizzò all’istante, i muscoli che si tendevano. «Che cosa diavolo è stato?»

Amil ridacchiò e gli diede una pacca sulla schiena. «Non preoccuparti, è gente del posto. Di sera amano vagare tra i boschi per cacciare.»

David tirò due profondi respiri. «Comincio a capire perché nessuno dei docenti viene qui.»

«Oh, non è poi così male. La gente di questa regione è molto interessante, a dire il vero. C’è una chiesa dove, la domenica, si pratica la manipolazione dei serpenti. I fedeli danzano intorno al pulpito tenendosi dei serpenti a sonagli sopra la testa. Per quanto possa sembrare sorprendente, i rettili non li mordono quasi mai.»

«Forza, entriamo», esortò Monique, scrutando nervosamente lo scuro baldacchino di foglie più in alto.

David sollevò la fioriera e raccolse una chiave arrugginita. La infilò nella serratura e, dopo un paio di tentativi, riuscì a girarla e ad aprire la porta. Fece scorrere la mano sulla parete finché non trovò l’interruttore.

Dentro, il capanno pareva un po’ più ospitale. C’era un camino di pietra sul lato opposto e un ruvido tappeto marrone sul pavimento. A sinistra, c’era una minuscola cucina con un frigorifero decrepito e, a destra, due piccole camere da letto. Al centro del locale c’era un massiccio tavolo di quercia che sosteneva un computer, un monitor e varie periferiche.

«Accomodatevi, accomodatevi. Temo che non ci sia nulla da mangiare, questo posto è deserto da così tanto tempo. » Gupta andò dritto verso il tavolo per accendere il PC, ma, mentre cercava la presa multipla per terra, notò qualcos’altro. «Oh, guarda questo, Michael! Avevo dimenticato di averlo lasciato qui. E le batterie sono ancora cariche! » Inginocchiandosi sul pavimento, girò alcuni interruttori.

David udì il ronzio di un motore elettrico, quindi vide un robot a quattro zampe che sbucava da sotto il tavolo. Alto circa sessanta centimetri e lungo novanta, era progettato per assomigliare a un brontosauro in miniatura. Il corpo era di lucida plastica nera e il collo e la coda segmentati potevano agitarsi con inquietante realismo mentre la macchina avanzava pesantemente.



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